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La lotta al razzismo passa dall’ascolto e dall’accoglienza

Nell’ambito della Settimana d’azione contro il razzismo, l’Uisp ha promosso un webinar per parlare di accesso: ecco com'è andata

 

Mercoledì 16 marzo si è tenuto il webinar "Empowerment delle persone con origini culturali differenti. Perché non sono molto presenti negli organismi dirigenti di associazioni, società sportive, comitati Uisp", promosso dalle Politiche per l’interculturalità e la cooperazione Uisp. L’iniziativa rientra nella Settimana d’azione contro il razzismo promossa ogni anno dall’Unar-Ufficio nazionale contro le discriminazioni razziali, per avviare una riflessione comune sul motivo per il quale così poche persone con differenti background culturali siano presenti negli organismi dirigenti dei Comitati Uisp o delle Associazioni/Società Sportive affiliate. 

Sono intervenuti Manuela Claysset, responsabile Politiche di genere e diritti Uisp; Grazia Naletto, responsabile migrazioni e lotta al razzismo Lunaria; Piera Mastantuno, giornalista, Carta di Roma; Mohamed Abdallah Tailmoun, fondatore di Rete g2; Laaroussi Touraya, mediatrice culturale, Uisp Torino; Davide Valeri, sociologo, Uisp Roma; Giovanna Russo, Università di Bologna. La tavola rotonda è stata coordinata da Daniela Conti, responsabile Politiche per l'Interculturalità e la Cooperazione Uisp, che ha aperto il confronto con una domanda: “Come possiamo coinvolgere persone con background culturali differenti all’interno delle nostre associazioni e gruppi dirigenziali? E’ un obiettivo importante per la nostra associazione perchè avere punti di vista differenti ci aiuta ad essere più inclusivi ma soprattutto a migliorare il nostro lavoro. L’Uisp non costruisce barriere, accoglie tutti, a prescindere dai documenti, ma vediamo che c’è ancora poca rappresentanza, soprattutto tra i giovani, quindi apriamo questo momento di confronto per capire quali azioni potremmo mettere in campo. Purtroppo viviamo una fase terribile, ed oltre alle distruzioni in corso temiamo il seguito di discriminazioni che porterà con sè, e che sono già in atto con le distinzioni tra rifugiati di serie a e serie b. Questo conflitto porterà un ritorno a nazionalismi che noi vorremmo cancellare, e credo che voci differenti nei nostri gruppi dirigenti ci aiuterebbero a comprendere una realtà che è sempre più complessa”.

Manuela Claysset è intervenuta condividendo la lunga esperienza Uisp nel campo dell’inclusione delle donne e della promozione dei diritti di genere. “Il modo migliore per iniziare ad affrontare queste difficoltà è mettersi all’ascolto - ha detto Claysset - un approccio che, come associazione, abbiamo sempre messo in atto. E’ importante comprendere i nostri limiti e poi quali azioni realizzare, valutandole insieme. L'esperienza accumulata nel coinvolgimento delle donne nasce negli anni ‘80 con una forzatura, le famose quote rosa, fatta per vedere quali potessero le richieste, le necessità, le modalità di lavoro più giuste. Dobbiamo capire quali possono essere i percorsi di partecipazione, creare luoghi di maggiore integrazione: è successo così a Torino con la piscina al femminile, ma anche con le persone trans e il tesseramento Alias, più recentemente con i bambini in seguito alla pandemia. Abbiamo attivato una riflessione e accolto nuove proposte specifiche. Come associazione di terzo settore dobbiamo mettere in atto azioni nuove e confrontarci anche con altre realtà, poi le azioni vanno verificate, ad esempio attraverso l’attivazione di un tavolo di lavoro permanente”.

Proprio da Torino, e dall’esperienza Uisp della piscina al femminile, viene Laaroussi Touraya, che ha condiviso il percorso che ha dato vita a quell’esperienza, collaborando alla realizzazione di qualcosa di totalmente nuovo che è diventato poi una buona pratica condivisa. “Intorno alla piscina di Torino, apprezzata da tutte le donne arabe della città, è nato un gruppo di confronto in cui le donne riescono ad aiutarsi, scambiarsi informazioni, sostenersi. Il percorso delle persone immigrate inizia con l’obiettivo di ottenere i documenti, un lavoro, una casa: tre cose fondamentali per tutti quelli che arrivano, che quindi hanno poco tempo da dedicare a loro stessi, ai loro hobby. Ora c’è un’attenzione maggiore verso lo sport, sia per i figli sia per un proprio percorso personale, ed anche gli uomini soffrono la mancanza di tempo a disposizione per fare qualcosa per conto loro, occasione per condividere con altri tempo e passioni. Per questo invito l’Uisp ad allargare la sua proposta anche al mondo maschile”.

Mohamed Tailmoun ha allargato la riflessione al tema delle regole e delle normative che influiscono sulle opportunità di praticare sport per le persone migranti o di seconda generazione. “E’ una questione complessa: da una parte c’è tutta una serie di regolamenti e normative che per molto tempo hanno impedito ai giovani di seconda generazione di accedere liberamente alle attività sportive alla pari con i cittadini italiani, proprio perchè privi di cittadinanza. Questa criticità è stata in parte risolta con la disposizione 12 del 2016 che permette il tesseramento nelle Federazioni per chi è arrivato entro i 10 anni di età, anche se non si può accedere alle rappresentative nazionale, e questo è un grosso vincolo rispetto ad altri Paesi. Dobbiamo evidenziare che le prime generazioni di migranti spesso non si ponevano nemmeno questo problema, mentre ora c’è una nuova leva di giovani che ha nuove necessità e questo chiama in causa le associazioni come la Uisp. Un modo per affrontare la questione è offrire strumenti ed informazioni sulla legislazione attuale, perchè esistono vari interventi anche a livello sportivo che agiscono in diversi modi sulla normativa e su quello l’Uisp potrebbe dire la sua e aprire un dibattito, invitando alla partecipazione e alla mobilitazione”. 

Lunaria è al fianco dell’Uisp in azioni e progetti sui temi dell’inclusione e della lotta al razzismo, tra cui l’Osservatorio contro le discriminazioni nello sport-Mauro Valeri, realizzato in collaborazione conl’Unar. Negli ultimi mesi, inoltre, ha realizzato una indagine tesa a valutare i cambiamenti avvenuti in questi anni all’interno del movimento antirazzista. “Abbiamo osservato un mutamento abbastanza profondo nel mondo antirazzista e una difficoltà nella capacità di far emergere le voci delle persone direttamente interessate nelle cause che le riguardano - ha detto Grazia Naletto - per questo abbiamo deciso di ascoltare e raccogliere opinioni, commenti e informazioni di donne e uomini di 20 realtà antirazziste diverse, che nel nostro paese promuovono iniziative di advocacy. Sono emerse cose molto interessanti, in particolare mi hanno colpito due elementi: in Italia c’è un problema di carattere strutturale, il contesto negli ultimi 30 anni ha eroso lo spazio della partecipazione, sia nell'ambito politico che delle associazioni, la crescente interconnessione tra attività politica e sociale e tendenza a spingere sulla visibilità personale, smantella gli spazi collettivi veri all’interno delle realtà in cui lavoriamo, quindi anche delle nostre associazioni. Il secondo elemento ha a che vedere con le forme strutturali di razzismo che caratterizzano il nostro Paese, un retroterra culturale profondo che è difficile da scalfire e di cui tutti noi siamo permeati; molte organizzazioni lavorano per scalfire queste posizioni ma sono processi molto lunghi”.

Naletto ha proseguito fornendo alcune indicazioni e consigli pratici per migliorare il coinvolgimento delle persone di origine straniera nelle attività e nei progetti delle associazioni. “Necessario riflettere sul come si lavora: è importante creare spazi anche fisici in cui davvero si crei una relazione, e nel caso dell’Uisp potrebbe essere più semplice, perché lo sport è un’attività che facilita la creazione di relazioni. Va studiato poi il metodo con cui si organizzano i processi di integrazione, e il passaggio dal tesseramento di base ai ruoli dirigenziali, spesso le nostre organizzazioni hanno sistemi organizzativi rigidi, che tendono ad essere molto formali e quindi poco inclini al cambiamento. Una cosa da evitare, come emerso anche dalla nostra indagine, è la ghettizzazione: spesso la tendenza è rinchiudere le persone migranti ad occuparsi sempre e soltanto di migrazione, piuttosto che di temi legati a interessi e professionalità acquisite”.

Il sociologo Davide Valeri e la giornalista Piera Mastantuno, hanno invece affrontato la questione del linguaggio. “Si tratta di un tema sempre più importante - ha detto Valeri - i discorsi d’odio uniscono le logiche discriminatorie del passato a quelle contemporanee e digitali. Con il linguaggio diamo forma alla realtà, non è un’attività neutrale, per cui è molto probabile che se viviamo in una società in cui esiste il linguaggio razzista accettato avremo episodi di razzismo. In Italia c’è un forte linguaggio sessista accettato e normalizzato e infatti abbiamo un grave fenomeno di violenza di genere. Quando parliamo di parole parliamo di qualcosa di reale: dobbiamo essere attenti ad usare un linguaggio inclusivo, sia perché è giusto sia perché permette di coinvolgere persone con background differente”.

“L’associazione Carta di Roma promuove il codice deontologico di cui l'Ordine dei giornalisti si è dotato per raccontare le migrazioni in un modo differente e coerente - ha detto Mastantuno - nel nostro report annuale abbiamo riscontrato una discrepanza tra il fatto che si parla molto di flussi migratori e poco di accoglienza, contestualizzando quindi la questione sempre in situazioni emergenziali. Per favorire l’inclusione e la partecipazione di esperti e giornalisti con differenti  background noi abbiamo scelto l’approccio della normalizzazione: abbiamo reso strutturale il coinvolgimento di un giornalista rifugiato nelle nostre formazioni, per rendere naturale un inserimento che nasce dalla professionalità e non dall’appartenenza a una minoranza. E’ importante coinvolgere le persone per le proprie competenze e valorizzare il loro apporto concreto”.

Le conclusioni di questo primo momento di confronto sono state affidate a Giovanna Russo, che ha evidenziato la specificità del fenomeno sportivo, un fatto sociale totale, che può rappresentare e raccontare il 90% delle relazioni nella contemporaneità. “Sta succedendo anche in queste settimane con le gravi crisi che stiamo vivendo. Lo sport è un campo in cui si incontrano e si scontrano le identità, questo ci fa riflettere sul fatto che dobbiamo formare, accompagnare, creare le relazioni trovando metodologie adeguate. Si parte da una questione complessa per cercare di semplificarla: analizziamo quello che accade sul territorio per capire i numeri, le impressioni, il rapporto tra l’immagine che abbiamo e la realtà, questa assenza di coinvolgimento è reale o solo percepita? è consapevole, volontaria o involontaria? Da qui si può iniziare a studiare le azioni con cui intervenire”. (A cura di Elena Fiorani)